(21.11.2016)

Rosa NAPOLITANO, psicoterapeuta dell’Associazione Il Melo, ha illustrato il percorso intrapreso sei anni fa dall’associazione nel campo delle crisi adottive con un progetto finanziato dalla Compagnia San Paolo.  Ma cosa determina una crisi adottiva? Tra i motivi ricorrenti, spiega,  “la presenza di disfunzionalità strutturali, di traumi nei bambini o nei genitori, l’irrompere di eventi critici nella vita della famiglia”.


Tra le disfunzionalità strutturali:  “Il differente investimento sul progetto adottivo da parte dei due genitori con ambivalenze che vengono percepite dal bambino;  i padri “periferici” o evitanti che determinano la reazione opposta nell’altro genitore e che quindi sono accompagnati da madri “ipercoinvolte”; un carico emotivo e una suddivisione dei ruoli non equilibrato con un contesto famigliare nel quale manca sostegno, solidarietà, dialogo tra i coniugi”.

Si tratta di aspetti che possono ritrovarsi anche nelle famiglie “biologiche” . La differenza sta nel bambino, “nella sua necessità di essere accettato con la sua storia, le sue esperienze, le sue origini” che poi vuol dire, per i genitori, la trasformazione del figlio tanto atteso, da parte dei genitori, in quel bambino che è arrivato”.

Poi ci sono i traumi. “Spesso ci troviamo di fronte a genitori in difficoltà che si trovano ad affrontare l’aggressività dei figli; genitori che spesso si sentono “soli”, preoccupati, spaventati… L’esperienza dell’adozione crea nei bambini i presupposti affinché le loro vulnerabilità, pur evolvendo, si ripresentino.   La mancanza di informazioni sulla “vita precedente” del bambino e dei traumi che ha subito possono determinare il “rigetto del trapianto nella nuova famiglia” a cui si può arrivare in mancanza di “una risposta tempestiva  o di una scarsa appropriatezza dell’intervento e il conseguente rischio di una cronicizzazione” .

La fase critica è quella dell’adolescenza, “il momento in cui si riannodano i fili della propria vita”, del terremoto emotivo in cui emergono “vissuti di disperazione, dubbi, paura, vuoto, rabbia”. E il momento delle domande :”Chi sono? Da dove arrivo? Ma non potevo essere un ragazzo normale? Perché i miei genitori mi hanno lasciato? Che cosa, chi voglio essere nel futuro?”. Domande amplificate dalla diversità etnica”.

Così “tutti i non detti, tutte le risposte mancate,  rappresentano informazioni che questi ragazzi cercheranno di ottenere con i moderni mezzi di comunicazione, i social sul web”.

Quale genitorialità quindi è possibile? Una genitorialità capace di sentire e accogliere la rabbia e l’oppositività del ragazzo e di dare regole per il contenimento.

“E’ importante cogliere quali sono i comportamenti tipici di qualunque ragazzo adolescente e quali, invece, quelli specifici dei ragazzi adottati, evitando le reazioni simmetriche e non rispondere con l’ansia all’ansia, con la rabbia alla rabbia. E poi imparare la flessibilità, la capacità di “dribllare”, di “surfare” accettando di “allentare la rigidità”. E ancora incoraggiare. “Quando sento i genitori adottivi che si lamentano, chiedo loro di elencare tre cose positive dei loro figli. A volte la risposta è un silenzio imbarazzante e prolungato”.

“Quando gli aspetti positivi non vengono neppure presi in considerazioni, il ragazzo si sente “cattivo”, “inadeguato” vive il richiamo al suo passato e all’idea di essere stato lasciato dalla famiglia d’origine per questi motivi;  sarebbe invece importante dare al ragazzo un’immagine di sé positiva, nonostante suoi comportamenti”.

Ma come mai si può arrivare alla rottura, all’espulsione, al fallimento adottivo? “Si arriva a un punto di non ritorno quando  i progetti di vita dei genitori sono prioritari su quelli dei figli, quando c’è una minimizzazione del dolore, dei conflitti interni che attraversano i ragazzi, quando c’è l’illusione che la presenza dei genitori adottivi basti da sola a lenire tutte le sofferenze, come se l’adozione bastasse a risolvere tutti i problemi e fosse l’unica e vera medicina”.

In realtà, ha concluso Napolitano, “l’adozione è il “cucchiaio” della medicina che, per essere efficace, ha bisogno di molta flessibilità e resilienza e non tutte le famiglie posseggono risorse infinite di fronte alle difficoltà, per questo è importante che man mano che queste emergono ci sia una rete di professionisti in grado di farle emergere, di supportare le famiglie ad affrontarle”. Insomma, nel cammino dell’adozione i lavori sono sempre in corso.  

Genitori 2.0 . La genitorialità nelle famiglie multietniche /1

Genitori 2.0 . Le capacità genitoriali delle famiglie migranti /2

Genitori 2.0 . Le rappresentazioni della genitorialità e dell’adozione nei bambini /3