(21.11.2016)

Francesco VADILONGA, psicologo, psicoterapeuta, direttore del Centro Terapia dell’Adolescenza di Milano, si è chiesto come come arriva un bambino all’adozione e con quali mappe mentali.

La risposta: “arriva con tutti i pregiudizi che si sono accumulati dalle precedenti esperienze, con le sue attese, con l’interpretazione dei comportamenti dei nuovi genitori e con l’idea che questi si comporteranno esattamente come i genitori che ha avuto prima.  I bambini in adozione hanno come filtri culturali le credenze e i valori appresi nei primi anni di vita e tendono quindi a replicare le esperienze che hanno vissuto”.

Anche i bambini adottati, in un certo senso, sono dei “migranti”; arrivano all’adozione dopo almeno 5 anni vissuti nella  famiglia d’origine e nel contesto culturale di appartenenza.

“Quando si parla di adozione internazionale – ha spiegato Vadilonga – siamo propensi a dare enfasi alle differenze etniche come il colore della pelle e molto meno agli aspetti culturali. E nel campo dell’adozione l’apertura culturale è importante, anzi decisiva”.

E’ interessante conoscere le rappresentazioni degli adulti e dell’adozione che hanno i bambini e scoprire che hanno un’elevata capacità di identificarsi con i pensieri e con le emozioni dei bambini adottati.  Per questo è importante ascoltare il punto di vista dei bambini, un principio sancito dalla legge 219 del 2012 che sancisce il diritto dei minori di essere informati e ascoltati.

“Questo – ha aggiunto Vadilonga – vale anche per i nuovi scenari che si stanno aprendo sull’adozione da parte dei single e delle coppie omosessuali; scenari che devono essere costruiti con il contributo dei bambini, cogliendo le loro voci e le loro rappresentazioni”.

Genitori 2.0 . La genitorialità nelle famiglie multietniche /1

Genitori 2.0 . Le capacità genitoriali delle famiglie migranti /2

Genitori 2.0 . La genitorialità adottiva: pensieri ambulanti /4