(30.09.2016)
genitorialit@.2”: è il titolo della riflessione avviata dall’Associazione Il Melo giovedì 22 settembre con il primo di tre incontri (gli altri due sono in agenda il 27 ottobre e il 24 novembre) che si è tenuto nella sede della Fondazione croce, a Torino.


E’ stato Daniele Pallone (psicologo e psicoterapeuta), presidente de Il Melo, a spiegare le ragioni dell’iniziativa promossa con la Camera Minorile di Torino: “Vogliamo avviare un confronto sulle differenti, e quanto mai attuali, forme di genitorialità. L’obiettivo è quello di promuovere una riflessione culturale sul tema della “genitorialità adottiva e non”, declinando i modi differenti in cui tale concetto può essere interpretato, garantendo una genitorialità adeguata ai bisogni dei minori, a prescindere dai modelli etero/omo/transculturali”.


“Non si tratta – ha spiegato Laura Dutto, avvocato della Camera Minorile di Torino, intervenuta subito dopo il saluto del presidente dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte, Alessandro Lombardo –  di affermare il diritto alle coppie etero od omosessuali di essere genitori ma di riconoscere e tutelare il diritto del minore a una propria vita famigliare; non, quindi, la tutela di un diritto astratto: vogliamo  parlare di bambini concreti, che già vivono all’interno di nuclei famigliari”.


Molto atteso l’intervento di Vittorio Lingiardi, professore ordinario di Psicologia dinamica alla Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza Università di Roma. “In Italia .- ha detto – uomini gay e donne lesbiche non hanno accesso al matrimonio, all’adozione, alla procreazione medicalmente assistita, alla gestazione per altri”. Eppure in Italia sono circa 100 mila i minori che vivono con almeno un genitore LGB . “Anche perché ciò che non è consentito in Italia (procreazione assistita o gestazione) può essere ricercato ed effettuato all’estero”.  Ed è falsa l’affermazione che non esista ancora “una vasta letteratura scientifica sull’omogenitorialità o sul parenting”. Gli studi ci sono e alcuni” riguardano proprio il contesto italiano”.

“La ricerca degli ultimi vent’anni in tema di omogenitorialità – ha aggiunto Lingiardi – ha indagato soprattutto le aree delle capacità educative e il comportamento, la personalità e il livello di adattamento dei genitori; lo sviluppo emotivo e sociale dei bambini; l’identità di genere e l’orientamento sessuale dei bambini”.

Queste ricerche dimostrano “che le persone omosessuali hanno le stesse capacità educative (o, a seconda dei casi, le stesse incapacità) degli altri genitori”. La stessa cosa vale per lo sviluppo emotivo dei bambini  nei quali, tra l’altro, “non c’è lo sviluppo di un orientamento sessuale particolare”.

Esistono anche delle differenze che si evidenziano nelle famiglie di genitori dello stesso sesso e nei loro figli. Eccone alcune: “Per i figli delle coppie omoparentali c’è una percentuale minore di punizioni; sono bambini che tendenzialmente hanno un’idea meno stereotipata sui ruoli di genere”.

In ogni caso, “ci sono ottimi e pessimi genitori omosessuali e ottimi e pessimi genitori eterosessuali. A sostenere la salute del bambino è la qualità della relazione tra genitori e non l’orientamento sessuale o il genere del genitore”  Piuttosto, a  fare la differenza può essere il contesto ambientale, perché, ha detto Lingiardi “crescere in contesti scolastici e educativi non omofobici è più rassicurante per i bambini di coppie omoparentali”.


Dario Merlino (psicologo e psicoterapeuta, responsabile equipe clinica Casa Base – Cooperativa Paradigma)  ha parlato della costruzione della funzione genitoriale nelle coppie adottive e di come queste affrontano gli eventi critici della vita. “La domanda è: cosa succede in una famiglia adottiva  nel momento in cui la coppia decide di separarsi? Non esistono ricerche su questo problema – ha detto Merlino – e quindi dobbiamo partire dalle differenze che ci sono tra le coppie di genitori biologici e le coppia di genitori adottivi”. A chi adotta, ha aggiunto, “non è richiesto un surplus di affetto o di accudimento ma una capacità genitoriale riparativa, rivolta alla protezione dei vissuti dolorosi e traumatici del bambino ma anche di quelli dei genitori stessi”.  Ed è importante che, nella fase di valutazione, “la coppia sia resa consapevole che l’arrivo di un bimbo la sottoporrà a un forte stress” e che, dopo l’adozione, “sia accompagnata, sostenuta in modo che non si chiuda in sé stessa di fronte alle difficoltà”.

Ma cosa succede nei casi di separazione? “Intanto va detto che la separazione è un evento critico, magari non positivo, ma legittimo. Se una coppia ritiene che non ci siano più le ragioni per stare insieme è legittimo che si separi”. Occorre contrastare la stigmatizzazione, le considerazioni del tipo: “Come andrà a finire? Vi siete presi questo bambino e non siete stati capaci e adesso non siete più in grado di stare insieme”.

Ma ai bambini cosa succede? “Il bambino adottato è più resiliente, ha più risorse di un bambino che cresce in una famiglia di genitori biologici, perché ha già sperimentato processi di questo tipo”.  Il problema, semmai, è “che la genitorialità sia mantenuta, nonostante la separazione, che il processo sia correttamente gestito, che non si arrivi a una conflittualità cronicizzata”.

Bisogna “introdurre nella rete degli operatori e nella cultura l’idea che i genitori continueranno a fare i genitori e che il bambino adottato è resiliente e non è più sfortunato degli altri bambini che attraversano una situazione come questa”.  “Occorre lavorare bene fin dalla fase della selezione della coppia e poi nel sostegno post adottivo. Se questo avviene, in caso di separazione, i genitori adottivi avranno più consapevolezza dei bisogni del bambino di quanto non possa averne una coppia di genitori biologici”. La famiglia adottiva, per Dario Merlino, ha quindi “più risorse, sia nella componente bambino, sia nella componente genitori, per affrontare un evento critico come la separazione. Se questo non accade è perché il sistema non ha funzionato, dalle fasi della selezione, dell’abbinamento e del sostegno”.